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Il 2015 è finalmente arrivato, e con esso i videogiocatori vedranno arrivare anche la prima, vera, grossa “ondata” di titoli per console e PC di nuova generazione che caratterizzeranno un anno videoludico già adesso abbastanza pieno. The Witcher 3, The Order: 1886, Batman Arkham Knight, Bloodborne, Evolve, Tekken 7, SW: Battlefront, ecc.

Ma cosa ci ha lasciato il 2014? Il 2014 è stato definito come un anno relativamente “povero” in fatto di gaming, e solo nei suoi ultimi mesi (Ottobre e Novembre) abbiamo visto approdare sulle nostre console i pochi titoli davvero degni di nota quali Far Cry 4 e Shadow of Mordor. Tra questi, il gioco oggetto della recensione: Dragon Age Inquisition, seguito dei già recensiti Dragon Age: Origins e Dragon Age II, nonché vincitore del premio game of the year della prima importante edizione dei Game Awards. Inquisition è davvero degno del titolo di primo vero e ufficiale GOTY?

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Ritorno alle origini?

Come detto nelle due precedenti recensioni, Dragon Age II si distingueva dal capitolo padre della serie per la sua formula à la Mass Effect.

Dove Origins permetteva di scegliere tra varie “origins stories”, razze e classi, il sequel permetteva la sola personalizzazione dell’aspetto e della classe del protagonista Hawke, la cui origine e razza il giocatore non poteva cambiare. Con Inquisition, facendo un passo indietro BioWare è finita in realtà per avanzare, riuscendo un’altra volta a sviluppare un titolo il cui character creation system è il vero punto di forza. Inquisition non solo permette di utilizzare nuovamente tutte le razze già giocabili in Origins, ma ne aggiunge un’altra, quella dei Qunari, arricchendo la varietà di scelta presentata al giocatore. Stavolta il protagonista sarà addirittura doppiato per tutta la durata del gioco e potremo scegliere tra quattro voci (due per l’uomo e due per la donna). D’altronde si sa, ai giocatori di rpg occidentali, la cosa che piace di più è proprio quella: la varietà o, per essere più precisi, la possibilità di creare il proprio personaggio con minor restrizioni possibili e d’influenzarne la personalità tramite le proprie scelte, così sentendosi anche protagonisti nel processo. Detto questo, il character system di Inquisition non è identico a quello di Origins. Dove, infatti, i trascorsi del protagonista del primo capitolo erano del tutto giocabili, qui li troveremo più circostanziali. Nel corso del gioco capiterà infatti, che ad una determinata razza corrisponderanno determinati dialoghi, che varieranno anche a seconda della classe o del sesso. Tuttavia il “background” del nostro protagonista non influenzerà affatto le vicende delle tante missioni secondarie del gioco, come invece accadeva spesso con il primo capitolo.

Possiamo quindi parlare del nuovo sistema di creazione come una via di mezzo tra il primo e il secondo capitolo, più che di un vero e proprio “ritorno alle origini”.

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We are the Inquisition

Dov’eravamo rimasti? Nel primo capitolo avevamo assistito all’invasione e la conseguente sconfitta dei prole oscura, mentre nel secondo all’ascesa di Hawke a campione di Kirkwall nell’arco di dieci anni. Dove si colloca Inquisition in tutto questo? Il terzo capitolo della serie è un sequel diretto ai primi due e si colloca esattamente un anno più tardi dagli eventi di Dragon Age II. Le tensioni tra maghi e templari, già esplorate nel capitolo precedente, sono ora sfociate in una vera e propria guerra. Durante il Conclave, un evento che avrebbe dovuto rendere possibile la pace, qualcosa andrà storto e il “Velo”, cioè il muro che separa il mondo reale da quello de “l’Oblio” dove albergano demoni e spiriti, sarà squarciato catapultando il Thedas nel caos. Starà alla rinata Inquisizione e al protagonista suo leader, riportare l’ordine in un mondo ora pieno di “squarci” che vomitano abomini.

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La premessa di Inquisition è tanto epica, quanto efficace. Non solo gli eventi del gioco saranno una perfetta continuazione dei due capitoli precedenti, ma il gioco potrà funzionare tranquillamente da stand-alone per la nuova utenza che si avvicinerà alla serie, incollando il giocatore allo schermo per oltre quaranta ore nel caso si volesse giocare solo la trama principale, ma arrivando anche a sfiorare le novanta ore di gioco per chiunque intenda imbarcarsi anche nelle varie sidequests e companion quests. E questo contando solo una prima partita! Il replay value, un’altra volta, è gigantesco.

Un mondo da esplorare

Una delle più grosse differenze tra Dragon Age Origins e il II era proprio la mappa, dove quella del primo comprendeva un intero continente composto da diverse aree e quella del secondo solo una grande città e i suoi dintorni. Inquisition supera entrambe regalando al giocatore ben due continenti, il già visitato Ferelden e il già menzionato Orlais. Ben dodici i territori esplorabili in qualsiasi momento del gioco, a cui vanno ad aggiungersene altri legati ad una singola missione. Le varie zone esplorabili in Inquisition saranno molto vaste, ma anche piene di attività secondarie in cui immergersi tra una missione principale e l’altra. Sarà possibile chiudere squarci, affrontare draghi, andare a caccia di risorse, reclutare agenti, combattere boss secondari, risolvere i puzzle degli astrarium e altro ancora esplorando aree paludose, forestali, fredde o desertiche, ma anche popolate e visivamente spettacolari.

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Gran parte di queste attività però, potrebbero anche rivelare una certa formula ripetitiva di “catch and fetch”, cioè “prendi e porta”.

Dove, in Origins, queste sidequests riuscivano a intrattenere il giocatore, magari tramite piccole cutscenes con diverse opzioni di dialogo per scenario, o più semplicemente tramite il loro contesto, Inquisition potrebbe risultare talvolta ripetitivo o povero di contenuto, sebbene questo non significherà necessariamente privo di divertimento.

Una mappa così grande andava accompagnata da qualcosa che rispecchiasse il potere dell’inquisizione, in questo caso il war table.

La tavola sarà presente nella base dell’inquisizione e, tramite essa, sarà permesso al giocatore d’imbarcarsi in missioni “passive”, il cui completamento potrà portare all’inquisizione ricompense, maggiore influenza o maggiori risorse, a seconda dell’approccio scelto. Unica vera pecca di questo sistema è il fatto che il raccoglimento di maggiori risorse o potere, non porterà effettivamente a nessun cambiamento in fatto di trama o sidequests.

Un vero peccato considerando il successo che BioWare ha avuto con un sistema molto simile, com’era quello di ME2, la cui suicide mission rimane ancora oggi un ottimo esempio di come il farming e il mining possano essere ben utilizzati nei GDR.

La via dell’Inquisitore è lunga…

Come al solito, anche questo capitolo della saga permette di scegliere tra varie classi. Alle cinque classi base (guerriero armato di scudo e spada o di un’arma a due mani, rogue armato di pugnali, arciere e mago) vanno ad aggiungersi altri nove possibili rami di specializzazione: tre per il mago, tre per il guerriero e tre per il rogue. Ciò che appaga davvero, è che ognuna delle cinque classi giocabili faccia si che l’approccio allo scontro sia differente in maniera palpabile. Questo a differenza dei predecessori che, vuoi per le animazioni, vuoi per le possibilità del motore grafico, non regalavano un feeling davvero distinto tra una classe e l’altra, eccezion fatta per un paio di casi.

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In Inquisition, giocare come un guerriero armato di una spada bastarda risulterà decisamente diverso, ad esempio, dall’esperienza di un arciere o un mago, complici le svariate abilità di ogni ramo di sviluppo del personaggio, tutte ben distinte e caratterizzanti, che andranno inoltre a sposarsi perfettamente con l’equipaggiamento diviso nelle tre categorie base del guerriero, ladro e mago. Un mago sarà più vulnerabile agli attacchi fisici di quanto lo sarà invece un guerriero, ma sarà anche più versatile, un guerriero sarà più potente di un ladro, sebbene limitato allo scontro aperto, mentre il ladro colpirà il nemico con attacchi critici più frequentemente dei primi due e così via. Il fatto che le classi permettano al giocatore di sperimentare un nuovo tipo di gameplay con ogni nuova partita, rende il replay value terribilmente alto e gratificante, probabilmente anche più di Origins che finora in questo campo manteneva un primato.

Frostbite 3 Engine

Con il salto generazionale da una console all’altra, una delle prime cose che saltano sempre all’occhio del giocatore sono ovviamente le migliorie apportate alla grafica del titolo. Inquisition qui fa un passo da gigante, rendendo il Lycium Engine di cui tutti si erano lamentati nel due solo un brutto ricordo. Il vero potenziale del nuovo Frostbite 3 si mostra soprattutto nelle diverse ambientazioni del gioco, che risultano reali, spettacolari e vive.

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In particolare, le aree forestali e quelle desertiche sembrano essere le meglio riuscite, ma la stessa capitale dell’Orlais (Val Royeaux) appare ben costruita e splendente. Quanto ai modelli dei personaggi, sebbene qualcuno possa necessitare di un altro po’ di lavoro, la gran parte di questi sono non solo ben costruiti, ma anche realistici. Prendendo lo stesso protagonista del tutto personalizzabile in esame, noteremmo raramente espressioni stupide o bug durante le cutscenes. Al contrario, il protagonista sarà facilmente in perfetto equilibrio con gli altri modelli facciali del gioco, a differenza di quanto magari succedeva in ME o DAII con uno Shepard o un Hawke che non fossero predefiniti. Questo tuttavia non sembra essere il caso degli elfi maschi, le cui proporzioni facciali e fisiche richiedevano chiaramente maggiore attenzione poiché, una volta su due, sarà facile assistere al glitch “delle braccia interne alle spalle”.

Una soundtrack con le palle

C’è poco da dire al riguardo. Dragon Age Inquisition ha una delle migliori soundtrack del suo genere. Avete presente quando, ricordando un film in particolare, è facile associarlo alla sua colonna sonora? Bene, quello è lo stesso caso che si presenta in Inquisition. Trevor Morris, già noto per il suo lavoro in serial di successo quali “I Tudors” e “Vikings”, ha chiaramente portato il suo “A game” per BioWare. Bisogna tuttavia ammettere che i pezzi migliori si possono ascoltare solamente durante i filmati di gioco e difficilmente durante le fasi esplorative o boss battle, come succedeva invece con Dragon Age Origins. Pezzi come “Calling the Inquisition”, “the Dawn Will Come” e “Journey to Skyhold” sono semplicemente ambrosia per chi ascolta. Quanto al doppiaggio, volendo spenderci su due parole, quello di Inquisition sarà più che decente, sebbene solo poche voci resteranno davvero memorabili nelle menti dei giocatori.

La piaga del multiplayer

Ormai si sa. Se non si aggiunge una maledetta modalità multiplayer ad ogni titolo in uscita non si è più “cool”. Quella di Inquisition ricorda molto quella aggiunta nell’ultimo Mass Effect, sebbene appaia meno curata e aggiunta solo negli ultimi mesi di sviluppo. Potrete anche divertirvi per qualche ora, prima d’iniziare a domandarvi perché diavolo state giocando online, quando potreste godervi un’altra run nella modalità single player.

Concludendo: il salto di qualità

Se con Dragon Age II BioWare aveva fatto un passo indietro (e tuttora sappiamo contro chi puntare il dito), con Inquisition la software house canadese fa un salto di qualità. Imparando dagli errori del secondo capitolo e rispolverando ciò che rendeva il primo così amato, BioWare ha creato un altro rpg memorabile, divertente ed epico. Il confronto con il primo capitolo è inevitabile, e non dubito che qualcuno continuerà a preferirlo ad Inquisition per il fattore nostalgico, ma il lavoro dietro questo titolo c’è stato e si vede ovunque. Il primo GOTY dei Game Awards è, a mio parere, meritatissimo.

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Consiglio di chi vi scrive: Evitate come la peste la versione per PS3 e 360 del gioco. Il downgrade renderà l’esperienza di gioco facilmente insopportabile.

Voto Finale:

8